COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 8 OTTOBRE 2023

Per la terza domenica di fila nel vangelo si parla di una vigna. L’idea di fondo è una vigna trova la sua ragion d’essere unicamente nel portare frutto. Se non porta frutto non serve a niente. Fuor di metafora, Dio ha scelto un popolo per essere strumento di salvezza per il mondo intero, ma se questo popolo si chiude in sé stesso e si dà alle opere del male ecco che non serve più a nulla.
Nel brano della liturgia di questa domenica Gesù racconta una parabola che ci presenta una situazione inverosimile. Si parla di un padrone che, nonostante abbia appurato la malvagità dei contadini continua a sperare in un loro ravvedimento. Finisce per mandare suo figlio, sperando che almeno di fronte a lui abbiano rispetto. Le cose, come sappiamo, vanno diversamente.
È esattamente quello che è successo nella storia della salvezza. Dio invia prima i profeti, molti dei quali vengono perseguitati, e infine manda il suo stesso Figlio che viene preso, cacciato “fuori dalla vigna” e ucciso. Il finale del brano è che a questi vignaiuoli malvagi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.
La parabola parla ai cristiani di tutti i tempi. Dio ci ha chiamati perché portiamo frutti di salvezza per il mondo intero. Una cattiva educazione cristiana ci ha abituati a pensare il nostro essere cristiani in modo individualistico, come se la fede avesse come fine principalmente la salvezza della propria anima, il raggiungimento di un benessere personale o di una consolazione religiosa.
Questo è il motivo per cui tanta gente intelligente si è allontanata dalla Chiesa: ha visto troppo spesso cristiani individualisti e preoccupati fondamentalmente di sé stessi.
Invece esistiamo in funzione degli altri, siamo scelti perché tutti possano incontrare Gesù Cristo e così fare esperienza di un mondo rinnovato. Don Davide

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 3 SETTEMBRE 2023

Viviamo in un mondo che in continuazione ci trasmette questo messaggio: devi avere successo (nel lavoro, come genitore, nelle relazioni sociali ecc.), devi realizzarti e stare bene, prenderti i tuoi spazi e pensare prima di tutto a te stesso. Non che in passato fosse necessariamente meglio. La mentalità mondana ha sempre fatto leva su questi valori, secondo innumerevoli varianti lungo la storia dell’umanità.
Il vangelo di questa settimana ci mostra, come sempre, una visione alternativa. Gesù dice ai sui amici che deve andare a Gerusalemme, dove sarà disprezzato, catturato e ucciso. Per poi risorgere il terzo giorno. Non una tragica fatalità, ma un destino che Gesù abbraccia, perché è il suo personale modo di donarsi al mondo. Solo così può dimostrare all’essere umano di tutti i tempi una volontà di riconciliazione senza se e senza ma, al di là di ogni merito e adeguatezza. Così, morendo in croce e risorgendo il terzo giorno Gesù ci dice che la strada per una vita più grande della morte è il dono di sé.
Gli apostoli sono i primi a non capire tutto questo, ragionando ancora in termini mondani. Proprio come facciamo noi. Ecco perché abbiamo bisogno di rimetterci davanti a questo vangelo così provocatorio, senza passare oltre, senza sminuirlo o pensare che non ci riguardi. Soprattutto dobbiamo fissare lo sguardo su quell’affermazione così perentoria di Gesù: occorre prendere la propria croce e seguirlo, occorre perdere la vita per causa sua se vogliamo salvarla. Non quindi l’amore a una sofferenza fine a se stessa, come se il cristianesimo fosse la religione del dolore, ma un trovare la nostra personale strada per seguire e imitare Gesù nel suo donarsi al mondo.
Don Davide