COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 5 MAGGIO 2024

Cristo ci chiama “amici”, siamo suoi “amici”. È la nostra identità più profonda.
Finché non si arriva a capire questo non si è ancora varcata la soglia del cristianesimo. Tanti cristiani sono stati abituati a considerarsi servi, vedendo in Dio un giusto padrone che è benevolo solo nella misura in cui ci mostriamo servitori obbedienti e devoti.
Dentro un’esperienza quotidiana di amicizia con Cristo facciamo invece esperienza del fatto che Dio è amore. Ciò che ci definisce non sono più le nostre qualità morali o i risultati che riusciamo a ottenere, e neanche i nostri errori o fallimenti. Ciò che ci definisce è Dio che ci chiama per nome e ci dice: “Non lasciarti andare, sei prezioso. Io ti ho scelto e sono con te”. Comprendere la nostra vita nel segno di questa scelta significa che ciascuno di noi non è senza un nome, senza una storia, senza un destino.
L’amicizia con Cristo, che ci fa scoprire la profondità dell’amore di Dio per noi, porta con sé un nuovo modo di vivere le relazioni tra di noi: “Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Abbiamo il compito di far sì che la Chiesa, a partire dalle nostre comunità particolari, diventi sempre di più un luogo di fraternità, quasi un anticipo di paradiso.
Il nostro contributo alla felicità del mondo consiste allora innanzitutto nel realizzare luoghi di fraternità. La Chiesa è come un faro, una luce, che rende visibile una possibilità di vita nuova per tutti. Don Davide

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 28 APRILE 2024

Chi di noi non vuole portare frutto? È uno dei desideri che danno forma al nostro vivere quotidiano, alle scelte che facciamo, ai progetti che affollano la nostra mente fin da quando siamo bambini. Vogliamo non vivere inutilmente e far qualcosa di significativo per noi stessi e per il mondo, qualcosa che resti anche quando non ci saremo più. Gesù prende sul serio questo desiderio e dice che c’è un solo modo per portare frutto, anzi, molto frutto. Rimanere in lui.
Su questo aspetto il Signore va ancora una volta controcorrente rispetto alla mentalità volontaristica ed efficientista che ci circonda e ci permea, secondo la quale valiamo nella misura in cui allarghiamo la nostra influenza sugli altri o produciamo risultati, possibilmente quantificabili in denaro.
Per portare frutto dobbiamo invece imparare a giocare la nostra vita in un rapporto di amicizia con Cristo. Stare con lui, vivere per lui e per il suo Regno. Qui c’è la gioia e la fecondità della vita.
Rimanere in lui significa innanzitutto vivere un’esperienza di appartenenza intelligente e affettivamente intensa alla Chiesa. Gli Atti degli Apostoli, che stiamo leggendo in questo periodo di Pasqua, ci dicono quanto il rapporto con Cristo sia inscindibile da un’esperienza di comunione con altri fratelli e sorelle che credono in lui e riferiscono la loro vita a lui.
Don Davide

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 21 APRILE 2024

Gesù Cristo ha un modo di concepire la vita che si pone come alternativo rispetto a quello del mondo. Non a caso qualcuno ha parlato del cristianesimo come di una “controcultura”, cioè di una visione del mondo e una prassi che in qualche modo si oppongono a quelle della mentalità dominante.
Il vangelo del buon pastore ne è un esempio evidente. Ci viene detto che la gioia, la pace, la bellezza della vita è nel seguire un altro. Certo, non uno qualsiasi, ma Cristo che ci conosce e dà la vita per ciascuno di noi.
Nel mondo in cui viviamo si sta sempre più affermando un’altra visione delle cose. Abbandonata la fede in Dio e crollate le grandi ideologie e visioni del mondo laiche, ciò che rimane è il proprio io come criterio ultimo del pensare e dell’operare. Seguire unicamente se stessi, ciò che piace, ciò che si ritiene giusto, ciò che ci può realizzare. Non c’è qualcosa di più grande di noi da amare e da seguire. Il risultato è un narcisismo che sta già provocando danni immensi nella vita di tante persone, generando una società di individui sempre più isolati.
Il vangelo di oggi invece segna la strada per la vera libertà, che non sta in un’affermazione di sé all’infinito ma nell’uscire da sé per perdersi in una comunione con Dio, con Cristo, tra di noi. È un seguire che non è alienazione ma un uscire dall’angusto recinto del proprio io per avventurarsi in una terra ignota in cui la persona si ritrova in un rapporto vitale con il buon pastore che la conduce verso territori in cui poter sperimentare un’esistenza rinnovata.
Don Davide