Viviamo in un mondo che in continuazione ci trasmette questo messaggio: devi avere successo (nel lavoro, come genitore, nelle relazioni sociali ecc.), devi realizzarti e stare bene, prenderti i tuoi spazi e pensare prima di tutto a te stesso. Non che in passato fosse necessariamente meglio. La mentalità mondana ha sempre fatto leva su questi valori, secondo innumerevoli varianti lungo la storia dell’umanità.
Il vangelo di questa settimana ci mostra, come sempre, una visione alternativa. Gesù dice ai sui amici che deve andare a Gerusalemme, dove sarà disprezzato, catturato e ucciso. Per poi risorgere il terzo giorno. Non una tragica fatalità, ma un destino che Gesù abbraccia, perché è il suo personale modo di donarsi al mondo. Solo così può dimostrare all’essere umano di tutti i tempi una volontà di riconciliazione senza se e senza ma, al di là di ogni merito e adeguatezza. Così, morendo in croce e risorgendo il terzo giorno Gesù ci dice che la strada per una vita più grande della morte è il dono di sé.
Gli apostoli sono i primi a non capire tutto questo, ragionando ancora in termini mondani. Proprio come facciamo noi. Ecco perché abbiamo bisogno di rimetterci davanti a questo vangelo così provocatorio, senza passare oltre, senza sminuirlo o pensare che non ci riguardi. Soprattutto dobbiamo fissare lo sguardo su quell’affermazione così perentoria di Gesù: occorre prendere la propria croce e seguirlo, occorre perdere la vita per causa sua se vogliamo salvarla. Non quindi l’amore a una sofferenza fine a se stessa, come se il cristianesimo fosse la religione del dolore, ma un trovare la nostra personale strada per seguire e imitare Gesù nel suo donarsi al mondo.
Don Davide
Le letture di questa domenica parlano di una tematica che può sembrare lontana a noi cristiani di oggi: quella della persecuzione. Sia la prima lettura, tratta dal libro di Geremia, che il vangelo ci parlano di persone che perdono la vita o rischiano di perderla a causa della loro fedeltà a Dio. La cosa sembra non riguardarci. In fondo nei nostri paesi occidentali, per quanto spesso l’ostilità nei confronti della chiesa non manchi, difficilmente si rischia la vita, la liberà, il posto di lavoro per la propria fede.
Perché dunque soffermarci su queste letture? Innanzitutto non va mai dimenticato che ancora oggi tanti nostri fratelli nel mondo vengono perseguitati, talvolta uccisi, proprio in quanto cristiani. Forse il mondo non è mai stato così pieno di martiri come oggi. Queste letture, che vengono lette nelle chiese di tutto il mondo, ci invitano a non dimenticare tutti questi fratelli e a sostenerli con la preghiera e con i mezzi a nostra disposizione.
Ma il motivo dell’attualità di queste letture è anche un altro. Se una persona segue Cristo è impossibile che non paghi un prezzo. Il cristiano nel mondo è segno di contraddizione, perché con le sue parole e soprattutto con le sue opere è portatore di un modo di pensare e di vivere diverso, segno di quel regno di Dio che Gesù è venuto a portare. È una logica diversa che arriva fino a un giudizio nuovo in tutti gli aspetti della vita, compresa la politica, l’economia, la società, l’etica, la cultura.
Di fronte a questa sfida il Signore ci chiede di non aver paura e ci assicura che se scegliamo la via della vita che lui ci ha indicato, il male non avrà mai la meglio su di noi.
Don Davide
Le tre letture di questa domenica ci aiutano a superare il rischio di considerare la Santissima Trinità una verità fredda, che in fondo ha poco da dire alla nostra vita.
Nella prima lettura non si parla esplicitamente della Trinità, ma si dice che Dio proclama il suo nome davanti a Mosè: «Il Signore passò davanti a lui, proclamando: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”». Dire il nome di qualcuno nella Bibbia significa spesso svelarne la sua essenza più profonda: Dio non solo ama, ma è amore.
Dio è infatti una comunione di persone. Ce lo ricorda la seconda lettura. In questo breve testo, Paolo conclude la seconda lettera ai Corinzi con un augurio: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi». Ciò che Paolo raccomanda è una vita insieme fatta di amore reciproco, di un essere gli uni per gli altri. Una comunione insomma. Credere nella Trinità significa partecipare alla vita stessa di Dio, e la vita di Dio è comunione. Perciò entrare in una profonda comunione con Dio e con fratelli è il cuore della vita cristiana.
Infine il vangelo ci dice che questo amore della Trinità si rende vicino e sperimentabile in Cristo. Ancora una volta si afferma che Dio è amore e misericordia: «Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Questi brani biblici non cercano di spiegare la Trinità, ma riescono ad andare al cuore della questione: Dio è amore e essere cristiani significa immergersi in questa vita nuova capace di trasfigurare il mondo per renderlo sempre di più immagine del suo creatore.
Don Davide