«Signore, mostraci il Padre e ci basta». Questa domanda che l’apostolo Filippo fa nel corso dell’ultima cena trova lo stesso Gesù un po’ sorpreso: «Come fai a dire una cosa del genere Filippo? Non hai capito proprio nulla in tutti questi anni in cui hai condiviso la mia vita?». La risposta suona quasi come un rimprovero. Eppure dobbiamo ringraziare questo apostolo perché ci ha dato l’opportunità di udire dalla bocca stessa di Gesù quello che in fondo il vangelo ci mostra a più riprese: chi vede Gesù vede il volto stesso di Dio, vede il Padre.
Anche noi, come Filippo, sentiamo tante volte dentro di noi il desiderio di “vedere” Dio, di potergli parlare faccia a faccia, di poter dialogare con lui e capire un po’ di più questo immenso mistero che è la vita, il mondo, la storia. Soprattutto quando la realtà ci fa male e ci ferisce sentiamo il desiderio di poter vedere il volto stesso Dio e trovare un po’ d luce.
Il vangelo ci dice che dobbiamo fissare lo sguardo su Gesù, sulla sua umanità, sulle sue parole, sul modo che ha avuto di incontrare le persone, soprattutto chi aveva più bisogno della sua misericordia. Lì vediamo davvero chi è Dio e come Dio guarda la vita di ciascuno di noi. Se non fissiamo lo sguardo su Gesù prevalgono altre immagini di Dio, spesso poco rassicuranti.
Come incontrare oggi Gesù? Come fissare i nostri occhi sul suo volto? Immedesimandosi con i testi dei vangeli, certamente. Ma soprattutto nell’incontro con Gesù risorto presente nella comunità cristiana, nel suo popolo fatto da quelle pietre vive che siamo tutti noi che crediamo in lui.
Don Davide
Nella prima lettura, tratta dagli Atti, si dice che non era possibile che la morte tenesse in suo potere Gesù. Ci si potrebbe chiedere perché, dato che Gesù era vero Dio ma anche vero uomo, e da che mondo è mondo la morte mette la parola fine all’esistenza terrena di ogni essere umano.
La morte non poteva vincere su Gesù perché lungo tutta la sua vicenda terrena, e specialmente nella sua passione e morte, egli aveva vissuto una vita più grande della morte e più forte del male: un dono totale di sé e un amore incondizionato per tutti, vicini e lontani, amici e nemici. La resurrezione è proprio questo: non la rianimazione di un cadavere ma una vita nuova che si fa strada nel mondo erodendo progressivamente il potere del male e della morte. Questo Gesù lo ha vissuto fino in fondo, ecco perché la morte non ha potuto avere la meglio su di lui.
Questa vita nuova ci raggiunge oggi attraverso lo Spirito di Santo, lo Spirito stesso di Dio che Gesù effonde su di noi. Ce ne accorgiamo tutte le volte che facciamo la stessa esperienza dei discepoli di Emmaus che si sono imbattuti in un modo nuovo di vedere le cose e sono così passati da una visione cupa e senza speranza ad un’interpretazione nuova e liberante degli eventi che riguardavano la loro vita con Gesù. L’incontro con il Signore fa passare anche loro dalla morte alla vita, dalla desolazione alla speranza. È ciò che, per grazia, può capitare anche agli uomini e alle donne di oggi.
Don Davide
La morte e la risurrezione di Cristo sono l’inizio di una storia nuova. Il mistero pasquale ha realmente cominciato a cambiare il mondo. Dire che Gesù è risorto infatti significa dire che è vivo, è presente ed è all’opera nel nostro oggi. La risurrezione ha sprigionato una forza nuova nella storia, dando vita ad un movimento di uomini che, commossi dall’incontro con lui, incontrandolo e seguendolo diventano artefici di una storia nuova: l’umanità dispersa e divisa comincia a vivere una comunione, una vittoria sull’estraneità e sull’indifferenza. Insomma, con la morte e risurrezione di Cristo comincia il miracolo dell’unità, il miracolo della comunione.
Non è un caso che nel tempo di Pasqua si leggano gli Atti degli Apostoli, e si leggano come prima lettura: la promessa dell’Antico Testamento è compiuta, ed è compiuta perché comincia ad esserci nel mondo un popolo composto di persone che stanno insieme perché c’è Cristo. Proprio perché Cristo è in mezzo a loro cominciano ad amarsi come fratelli, diventando capaci di vivere e morire gli uni per gli altri.
Questo popolo ha raggiunto anche noi, e per grazia ne facciamo parte. Siamo una comunità non certo perfetta, fatta di uomini e donne con tanti difetti. Eppure è una comunità in cui sono presenti i segni di una vita nuova, proprio come è stato all’inizio della Chiesa. Questo popolo nuovo, di cui la nostra comunità è parte integrante, deve sempre di più essere profezia di salvezza per ogni uomo, deve diventare sempre di più segno di speranza per il mondo.
Don Davide
Nella chiesa di oggi capita spesso di imbattersi in una sorta di “ansia” di fronte al (triste) spettacolo di un mondo sempre meno cristiano. Da qui una serie di considerazioni da ragionieri, per esempio sul numero dei partecipanti alla messa (in costante calo), o sulla crisi delle vocazioni (idem), o magari, quando va bene, sul successo che una certa iniziativa riscuote in termini di partecipazione.
Nel vangelo di questa domenica Gesù ci indica un’altra direzione. Usa come sempre delle immagini che colpiscano la nostra immaginazione e ci facciano quasi “vedere” chi e cosa dobbiamo essere nel mondo di oggi. Il Signore parla di noi come del sale della terra, città posta sul monte, luce che illumina un ambiente altrimenti immerso nelle tenebre. Sono metafore che sembrano quasi suggerire che il destino dei cristiani nel mondo è quello di essere una realtà limitata da un punto di vista numerico, piccola, per niente egemonica. E allo stesso tempo realtà di un’importanza vitale per la felicità del mondo, segno e strumento di speranza per tutto il genere umano, inizio di un’umanità nuova a cui tutti possono guardare. Se invece diventiamo come il sale che perde sapore o come una lampada che viene messa sotto il moggio siamo insignificanti e inutili.
La prima lettura ci indica la cosa più importante per essere ciò che dobbiamo essere: la carità, cioè un dono di sé pieno di commozione per chiunque incontriamo, specialmente per chi più è nel bisogno. Solo la carità rende davvero presente la vita stessa di Dio e fa intravedere il mondo nuovo che Cristo è venuto a portare.
Don Davide
«Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino». Non sono solo parole pronunciate duemila anni fa. È un annuncio che attraversa la storia e arriva oggi nella mia e nella tua vita.
Dire che il Regno dei cieli è vicino significa che è vicina a noi una novità che salva, che porta redenzione cioè riscatta le nostre vite altrimenti perdute. La parola “vicino” può indicare sia un evento imminente, che sta per accadere, sia qualcosa che ci sta accanto e che perciò, proprio perché prossimo, è sperimentabile direttamente da noi.
Per parlare del Regno dei cieli Gesù usa delle immagini o delle parabole che ci aiutano a entrare con l’immaginazione in questa novità di vita. Immagini e parabole che ci fanno quasi “vedere” questo Regno di Dio. La liturgia di questa domenica usa l’immagine molto bella ed efficace di un popolo che abita nelle tenebre e nell’ombra di morte. Insomma, gente senza speranza e condannata a una vita di infelicità. A un certo punto, per queste persone sorge una luce, un evento imprevedibile che capovolge il loro destino e gli restituisce la possibilità di una vita davvero degna di questo nome. Si apre per loro, inaspettatamente, una strada da percorrere, una strada di speranza e di risurrezione.
Per noi la fede è stata ed è questa esperienza di redenzione e di rinascita? Nella nostra vita, spesso immersa nelle tenebre e nell’ombra di morte, riconosciamo una novità che, senza alcun merito da parte nostra, porta luce, speranza e redenzione nelle nostre vite e nella vita del mondo?
Don Davide
A un certo punto del libro dell’Apocalisse troviamo uno dei versetti più belli di tutta la Bibbia: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Gesù è il Salvatore perché entra nel nostro mondo, nelle cose solite, nelle circostanze della vita e della storia e le rinnova con la sua presenza. Gesù è infatti l’uomo nuovo, «l’ultimo Adamo» (1Cor 15,45), colui che ci sta sempre davanti e attira a sé tutto il genere umano e tutto il creato.
Questa domenica la liturgia ci propone un brano in cui la novità di Cristo è messa in evidenza attraverso il confronto con Giovanni Battista. Giovanni, “il più grande dei nati di donna”, rappresenta ancora il mondo vecchio. Il suo è un battesimo “con acqua”, un battesimo di penitenza, basato sull’idea che l’uomo è peccatore e deve cambiare vita se non vuole che l’ira di Dio si abbatta su di lui. È una logica per certi versi giusta. Gesù stesso ha detto di non essere venuto ad abolire la legge e guai a sottovalutare i precetti di Dio. Ma è anche vero che la legge non salva nessuno, come San Paolo non si è stancato di dire.
Cristo invece salva, perché non abolisce la legge ma va oltre la legge. Egli è «colui che toglie il peccato del mondo», come dice Giovanni Battista, cioè è più grande di tutto il male che c’è nel mondo, il male che l’essere umano riesce a fare. Gesù porta una misericordia e un perdono capaci di rinnovare e ricreare, salvare tutti gli esseri umani perduti, sconfitti dalla storia e dalla vita, prigionieri del male proprio o altrui. Egli non battezza con acqua ma «in Spirito Santo», perché ci immerge nella vita stessa di Dio, cioè nell’amore che salva.
Don Davide