Nel libro del profeta Isaia ad un certo punto compaiono alcuni canti che raccontano di un personaggio misterioso (il profeta non ci dice infatti a chi si riferisce), un servo di Dio destinato a portare nel mondo luce e salvezza. Nella domenica dedicata al battesimo di Gesù nel Giordano la liturgia ci propone il primo di questi canti, in cui viene detto che questo servo ha una missione universale, è chiamato a portare la giustizia al mondo intero, a liberare chi si trova in schiavitù, a guarire i ciechi, a salvare coloro che vivono nelle tenebre.
La Chiesa ha sempre riferito questi brani, scritti più di cinquecento anni prima di Cristo, alla missione salvifica e universale di Gesù. L’episodio del battesimo racconta l’inizio di questa missione: Gesù passa dall’essere un anonimo israelita originario di un villaggio da nulla di una regione marginale della Palestina a personaggio pubblico di primo piano, irresistibile e controverso, amato e odiato come nessun altro prima di lui. Il battesimo è un inizio in cui c’è già il marchio inequivocabile della sua volontà di salvezza universale: Gesù si mette in fila con i peccatori, con quelli che chiedevano a Giovanni Battista un battesimo di penitenza perché sentivano tutto il loro bisogno di cambiare vita e di essere salvati. Gesù si fa solidale con loro, e così facendo mostra di mettersi accanto ai peccatori di tutti i tempi.
Con questo gesto Gesù si mette “dalla nostra parte”, si fa compagno di strada e di vita di tutti gli esseri umani di tutti i tempi che cercano una redenzione, un senso al loro cammino umano. Con il battesimo Gesù inizia la sua vita pubblica, la sua missione che continua fino alla fine dei tempi.
Don Davide
Un anno è davvero lungo e a tutti capita di stupirci quando pensiamo a quante cose sono successe in questo arco di tempo: avvenimenti belli e brutti, nuovi incontri e amicizie, perdite importanti, fatti che mai avremmo pensato potessero riguardarci. L’inizio di un nuovo anno è fatto di speranza e di timore, ecco perché ci viene spontaneo farci reciprocamente gli auguri.
Anche la Chiesa ci augura un “buon anno”, ma lo fa a modo suo. Lo fa ricordandoci perché, nonostante tutto, possiamo guardare con fiducia il futuro.
La prima lettura di questa domenica, tratta dal libro dei Numeri, ci dice che Dio benedice le nostre vite, cioè “dice bene” di noi: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace». Spesso tendiamo a disprezzarci, a pensare che non valiamo, che siamo inutili e sbagliati. Dio ci guarda in un altro modo e vede in ciascuno di noi qualcosa di prezioso e di bello. Vede nelle nostre vite incompiute e sconclusionate delle storie piene di grazia. Una grazia che dobbiamo imparare a riconoscere tra le pieghe oscure di cui le nostre esistenze spesso sono fatte.
Nella seconda lettura San Paolo ci ricorda dove si radica questa benedizione di Dio: c’è in noi qualcosa di più profondo del nostro male e delle nostre sconfitte, qualcosa che più di tutto il resto definisce le nostre identità: il fatto di essere figli. Possiamo chiamare Dio “Padre”, anzi “Abbà” (papà, babbo).
Impariamo, come ha fatto Maria, a custodire queste cose nel nostro cuore, per farle diventare forma della nostra vita, sguardo sul mondo e su tutto ciò che accade. Solo così il 2023 sarà davvero un buon anno.
Don Davide
«Dio con noi». Questo è l’annuncio che domina la quarta domenica di avvento. Annuncio che, se accolto, fa entrare nella nostra vita almeno un barlume di consolazione e di gioia.
Il cuore dell’uomo è fatto per essere “con”. Siamo esseri relazionali, continuamente tesi agli altri, all’incontro con qualcuno che sta oltre i confini del nostro io. L’essere umano non è fatto per essere solo, come viene detto fin dalle prime pagine della Bibbia, ma tende continuamente a una comunione, a una compagnia in cui possa trovare la sua vera casa. Ecco perché soffriamo quando ci sentiamo soli, non compresi, o quando la morte o altre vicende della vita ci portano via qualcuno che per noi costituisce una compagnia essenziale.
Il Natale che festeggeremo tra pochi giorni è il memoriale di un avvenimento sconvolgente: Dio stesso si fa presente, compagno di strada, compagnia per la vita quotidiana. Viene nel mondo per illuminare ogni uomo, come dice il prologo del vangelo di Giovanni.
In questi giorni ascolteremo nella liturgia i passi del vangelo che ci parlano della venuta di Gesù nel mondo 2000 anni fa. Sono racconti importanti non solo per la loro bellezza e suggestività, ma soprattutto perché ci ricordano che ciò che accadde in quel tempo è ciò che continua ad accadere nelle nostre vite, nell’oscurità di questo mondo così ferito e bisognoso di un Dio che si faccia uno di noi e venga a condividere le nostre esistenze prendendole per mano e conducendole verso una vita nuova. Egli viene per essere con noi e far «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Riempiamo il nostro cuore dell’attesa di lui.
Don Davide
La terza domenica di avvento ha sempre come tema la gioia.
Di fronte a questo invito a gioire dobbiamo ammettere che potremmo provare un po’ di disagio, perché anche noi cristiani possiamo trovarci a vivere in una situazione di desolazione, di tristezza, di angoscia. Allora il richiamo alla gioia potrebbe essere sentito quasi come una forzatura, un invito ad imporsi di gioire quando in realtà non c’è niente da gioire.
In realtà la Scrittura è molto realista, non invita mai a una gioia ingenua, sa che nella vita c’è la prova, c’è la sofferenza e la morte. Infatti la bellissima lettura di Isaia ci parla di deserto, di terra arida, di steppa come metafore della condizione in cui spesso noi esseri umani ci troviamo. Poi parla di mani fiacche, di ginocchia vacillanti, di cuori smarriti, cioè di una grande debolezza che spesso ci troviamo addosso. Isaia sta parlando del popolo di Israele, ma è evidente che questa è la condizione dell’uomo di ogni tempo, quindi anche la nostra.
La domanda allora è se in questa condizione è possibile la gioia, la speranza. Sì, è possibile. È possibile se capita “l’impossibile”, cioè che Dio in persona venga in questo deserto, cammini con noi e ci prepari una strada di salvezza. Isaia sembra suggerire che Dio non ci salva togliendoci il deserto ma facendolo fiorire. Detto con altre parole, preparandoci nel deserto una via di salvezza, una strada in cui lui cammina con noi fianco a fianco. La sua presenza ci fa vivere tutte le circostanze diversamente, fa sì che la speranza trasfiguri la nostra esistenza donandole senso. La vita allora, con tutte le sue lotte e contraddizioni, diventa un’avventura, un cammino veramente umano verso un compimento che ha già iniziato a realizzarsi e che si realizzerà in modo totale alla fine dei tempi.
Don Davide
«Il Regno dei cieli è vicino». Questo è l’annuncio che Gesù ha voluto porre al centro della sua vita pubblica. Annuncio su cui passiamo sopra troppo rapidamente, in fondo senza capirlo.
La liturgia di questa domenica rimette davanti ai nostri occhi questa espressione, stavolta però attraverso la predicazione di Giovanni Battista, segno che Gesù quando parla di Regno di Dio o di Regno dei cieli (le due espressioni si equivalgono) utilizza una categoria che già circolava nell’ebraismo dell’epoca.
Parlare di Regno dei cieli significava dire che Dio era sul punto di intervenire nel mondo per creare una realtà totalmente nuova. Non si tratta quindi di un riferimento all’aldilà, ma di un mondo nuovo, “cieli nuovi e terra nuova” che cominciano già in questa vita. Giovanni Battista si mette al servizio di questo annuncio, per indicare che sta per arrivare qualcuno più grande di lui che darà avvio a questo mondo nuovo. Certo, l’annuncio di Giovanni è ancora imperfetto, perché parla di un intervento “vendicativo” di Dio, cosa ben lontana da quello che sarà il ministero di Gesù. Però l’annuncio presenta un valore autentico: sta cominciando qualcosa di nuovo.
Questo annuncio è sempre attuale ed è quanto mai urgente fargli spazio nella nostra vita, verificando se la venuta di Cristo, che l’avvento ci fa contemplare, sia davvero la possibilità di una vita totalmente rinnovata, di un modo più bello e più vero di vivere, di una realtà nuova che fa irruzione nel mondo vecchio per rinnovarlo in profondità.
Don Davide
Con l’inizio dell’avvento la chiesa ci rivolge un richiamo molto forte: torna in te stesso, ricordati chi sei e cosa è davvero importante per la tua vita, risveglia nel cuore l’attesa di Cristo.
Il vangelo ci parla proprio dell’attesa come dell’atteggiamento più importante se vogliamo che la nostra vita sia autentica. Il Signore infatti è colui che è, che era e che viene; è il Dio che ha passione per le nostre esistenze, tanto da farsi nostro compagno di strada ogni giorno. Così è venuto duemila anni fa incarnandosi nell’uomo Gesù, viene ogni giorno nelle nostre vite, verrà alla fine dei tempi “a giudicare i vivi e i morti”, cioè a salvare in modo definitivo l’umanità intera. Ma se non abbiamo il cuore teso a questo annuncio, se in fondo siamo ripiegati sui nostri piccoli o grandi problemi, i nostri progetti, le preoccupazioni che comprensibilmente affollano la nostra mente non siamo in grado di fare spazio a lui. Cristo viene a bussare alla nostra porta, ma non riusciamo ad accorgercene, tutti presi dal frastuono in cui le nostre esistenze sono immerse. Proprio come ai tempi di Noè, come ci ricorda il vangelo di questa domenica: «prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti». L’avvertimento è chiaro: la vita la possiamo sprecare se non riponiamo la nostra speranza nel Signore che viene a darle senso. Ci condanniamo da soli all’insignificanza e alla superficialità se non abbiamo un cuore che cerca davvero la salvezza. Non si tratta ovviamente di rifugiarci in uno sterile misticismo, ma di fare della nostra vita quotidiana, con tutte le sue speranze e le sue fatiche, il terreno fertile in cui l’attesa del Salvatore apre il nostro cuore all’incontro salvifico con lui già in questa vita, in attesa dell’incontro pieno e definitivo che avverrà alla fine.
Don Davide