COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 20 NOVEMBRE

È significativo che l’ultima domenica dell’anno liturgico si festeggi Nostro Signore Gesù Cristo re dell’universo. Cristo infatti non è re soltanto nell’aldilà, ma è re del nostro mondo, signore del nostro mondo.

Se siamo sinceri dobbiamo ammettere che spesso osservando la vita viene difficile dire che sia Cristo il signore del mondo. A volte ci è più facile pensare che sia il caos a regnare, o addirittura il male. Le cose non vanno come dovrebbero andare.

In che senso dunque Cristo è re dell’universo? Ci aiuta Il Vangelo di questa domenica. I governanti del mondo dominano sugli altri con la forza e spesso li opprimono, facendo i propri interessi invece di quelli delle persone a loro affidate. Il Vangelo ci mostra invece un Cristo debole, indifeso, all’apparenza senza alcun potere. Cristo regna dalla croce e guida la storia verso la salvezza non con la forza, non con la potenza, ma con l’amore. Cristo è un re che muore per gli uomini, amandoli fino alla fine. Questo è il punto: Cristo guida la storia cambiando i cuori delle persone. Quando uno si sente amato cambia, e cambiando irradia attorno a sé luce, bellezza, amore. Cristo ci chiede non di essere sudditi ma di regnare con lui. Regnare con lui significa anche come lui, cioè servendo, amando sino alla fine.

Potremmo dire che il suo regno siamo innanzitutto noi che crediamo in lui e vogliamo seguirlo. Proprio come dice l’Apocalisse: «Ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre». Così diventiamo protagonisti di un mondo nuovo insieme a lui. Per mettersi in cammino nel mondo e salvare la storia ha bisogno del nostro . Questo perciò è il nostro vero compito nella vita, più ancora che essere padri e madri o bravi professionisti, più ancora che essere in buona salute… più di tutto il nostro compito nella vita è questo a Cristo perché lui si possa mettere in cammino nella storia per diventare sempre di più il signore del mondo.

Don Davide

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 13 NOVEMBRE

Pagina difficile e inquietante quella del Vangelo di questa domenica. Ma anche un immenso messaggio di consolazione di fronte a tutto il male che sembra dominare la storia dell’umanità. Ci vengono messe davanti agli occhi diverse immagini, una più terribile dell’altra: Gerusalemme distrutta, giusti perseguitati, falsi messia, terremoti, carestie, guerre, sconvolgimenti cosmici.
Proviamo a fare un po’ di chiarezza. Gesù non intende fare una cronaca della fine del mondo, ma usa delle immagini familiari a un’israelita di duemila anni fa. In quell’epoca si era infatti sviluppata in tante persone una visione apocalittica, cioè la convinzione che Dio stesse per intervenire nel mondo chiudendo una fase della storia per aprirne una totalmente nuova. Insomma uno sconvolgimento totale del mondo conosciuto e l’inizio una nuova era. Gesù pesca a piene mani da questo immaginario collettivo. E lo fa per dire che viviamo dentro una storia incompiuta e drammatica. Le cose vanno molto diversamente da come dovrebbero andare e così la storia appare molto spesso un tragico teatro di violenza, disordine, sopraffazione, ingiustizia. Pagina attualissima dunque.
Poi però Gesù introduce un “ma”: «Ma neppure un capello del capo andrà perduto». Cosa c’è di più insignificante di un capello del capo? E poi nella seconda parte del discorso (purtroppo non riportata nella liturgia di questa domenica) parla della venuta del Figlio dell’uomo alla fine della storia: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria … risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». Questa storia così martoriata è nelle mani di Cristo. Lui è il salvatore, il Signore di ogni vita, di ogni storia e di tutta la storia. La nostra vita e quella di ogni uomo vanno verso Cristo. Il senso della storia è l’incontro pieno e definitivo con lui. In questo incontro tutto troverà salvezza, compimento e senso.
Don Davide

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 6 NOVEMBRE

All’epoca di Gesù non tutti gli ebrei credevano che nell’aldilà ci fosse una vita degna di questo nome. Continuava ad avere un certo seguito l’idea che con la morte tutti – buoni e cattivi – finissero nello sheol, una sorta di regno dei morti in cui le persone si riducevano ad essere delle ombre di se stesse, figure evanescenti senza più speranza. Nell’episodio del vangelo di questa domenica Gesù rivela un’altra prospettiva sulla morte: essa è un passaggio verso la redenzione del nostro corpo, cioè della vita come l’abbiamo vissuta qui sulla terra. La nostra esistenza non sta correndo verso il nulla, non è destinata ad essere inghiottita dalle tenebre della morte. C’è una vita oltre la vita. Gesù la chiama risurrezione.
Ciò che risorgerà non è semplicemente “la nostra anima”. Gesù parla di resurrezione del corpo: risorgeremo proprio noi. Siamo infatti persone che hanno una storia, fatta di gioie, di sofferenze, di rapporti umani che fanno parte di noi; una storia fatta di speranze, attese, cadute, fallimenti, impegno per costruire qualcosa di bello… risurrezione vuol dire che tutto questo non va a finire nel nulla, ma Dio gli conferisce un valore eterno.
Come questo avverrà rimane un grande mistero, e non ha senso farsi prendere dall’ansia di dare risposte a questioni che riguardano il come e il quando della risurrezione. Rimane però questa parola di Gesù che deve diventare la roccia su cui poter costruire. Il Signore prende spunto dall’obiezione dei sadducei (la storiella della donna che va in sposa a sette mariti diversi perché le muoiono uno dopo l’altro) per insegnare che la nostra vita non è in balia di quella grande forza distruttrice che si chiama morte, destinata a spazzare via noi e tutti quelli che amiamo. C’è qualcuno che è più grande della morte. Lui non permetterà che la morte sia l’ultima parola su di noi, su coloro che amiamo, su ogni uomo che viene in questo mondo.
Don Davide

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 30 OTTOBRE

Zaccheo faceva un mestiere che lo rendeva odiato da tutti. Era il capo dei pubblicani, ebrei che riscuotevano soldi per conto dell’odiato potere romano. Per di più erano disonesti, aggiungevano una percentuale su ciò che era dovuto. La gente aveva tutte le ragioni di questo mondo per detestarli. Il vangelo ci informa inoltre che Zaccheo si era arricchito grazie a questa attività. Quindi un uomo doppiamente deprecabile.
Però stranamente questo personaggio così spregevole vuole vedere Gesù, e per fare questo sale su un albero. Il Signore lo nota. Qui si vede quanto lo sguardo di Gesù sia diverso dal nostro. Là dove tutti vedono semplicemente un uomo cattivo e da evitare, Gesù vede invece il suo dolore, la sua coscienza di essere “sbagliato”, diverso da come dovrebbe essere. Allo stesso tempo vede il suo desiderio di un impossibile perdono e di una vita diversa, redenta. Gesù vede tutto questo, e dice: «Zaccheo (lo chiama per nome) scendi subito perché devo fermarmi a casa tua». Andare a casa di qualcuno significava in qualche modo compromettersi con quella persona, era un gesto inequivocabile di amicizia. Questa è la grazia, ciò che manda all’aria tutti i nostri schemi, tutto il nostro buon senso: Gesù mostra che per lui non esiste l’uomo irrimediabilmente perduto.
Il finale è che Zaccheo cambia. Ed è interessante la conclusione: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa», Ma chi è entrato in quella casa? Gesù stesso. È lui la salvezza in persona. E aggiunge: «Perché anche egli è figlio di Abramo». La salvezza che porta Gesù è una comunione con lui ma anche un riammettere nel popolo di Dio colui che altrimenti ne sarebbe escluso.
Don Davide

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 23 OTTOBRE

«La preghiera del povero attraversa le nubi/né si quieta finché non sia arrivata», dice il libro del Siracide nella prima lettura di questa domenica. C’è una preghiera che “buca” il cielo e arriva dritto al cuore di Dio. È la preghiera del povero. Il povero non è semplicemente chi manca dei beni materiali, ma è il povero di spirito, colui che sente con dolore il suo essere peccatore, il suo essere bisognoso di perdono e di pietà.
È ciò che vediamo nell’episodio del fariseo e del pubblicano al Tempio. I farisei erano persone estremamente scrupolose nell’osservare la legge religiosa. Erano persone “per bene” e stimate dal popolo. Questo fariseo digiuna due volte alla settimana e paga la decima di tutto quello che guadagna. Perciò si ritiene in credito verso Dio, non attende misericordia, perché non ne ha bisogno.
I pubblicani invece erano dei peccatori: riscuotevano i tributi per conto dei romani, perciò erano dei traditori del popolo. Però quest’uomo della parabola è consapevole di essere un peccatore, sa di non poter pretendere nulla da Dio. Può solo chiedere, sapendo di non meritare ciò che chiede.
Il finale è che solo il pubblicano viene ritenuto giusto.
Dio ragiona diversamente da noi. Per noi la giustizia è “dare a ciascuno il suo”, perciò il fariseo dovrebbe essere premiato da Dio e il pubblicano punito. Invece Dio preferisce il pubblicano, lo giustifica, lo dichiara salvo perché ha atteso la salvezza solo dalla misericordia di Dio e non come esito dei suoi presunti meriti. Così Gesù ci mostra il vero volto di Dio. E infatti nei Vangeli non c’è un solo caso in cui un peccatore sia andato da Gesù riconoscendosi bisognoso di aiuto, di misericordia e sia stato respinto. La scena è invece sempre la stessa: quando uno va da Gesù chiedendo pietà, lui ha compassione, lo accoglie, lo guarisce, lo ricrea.
Don Davide

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 16 OTTOBRE

Nel Vangelo di questa domenica Gesù parla della «necessità di pregare sempre». Ma come è possibile pregare sempre? Gesù non insegna che dobbiamo continuamente “dire delle preghiere”, ma che la nostra vita deve svilupparsi come un dialogo continuo con Dio: essere davanti alla sua presenza, qualunque cosa facciamo, qualunque sia la circostanza che stiamo attraversando.
Si dice anche che dobbiamo pregare «senza stancarci». Gesù sa che noi ci stanchiamo, perché tante volte ci sembra di non essere ascoltati. In questo brano il Signore vuole darci le ragioni per cui non dobbiamo mai stancarci di pregare, anche quando sembra che Dio non ascolti. Viene raccontata la storia di una vedova che chiede giustizia a un giudice disonesto che alla fine è costretto a cedere alla sua insistenza. La vedova nella Bibbia è la persona indifesa, debole, povera e maltrattata. La parabola solleva un problema difficile: l’apparente contraddizione tra l’idea di un Dio giusto da una parte, e dall’altra il fatto che questa giustizia sembra tante volte contraddetta dalla storia, dalla vita. Nell’insistenza della vedova sembra essere racchiuso tutto il disagio dei buoni, dei poveri, delle vittime della storia che hanno l’impressione di essere abbandonati.
Gesù ci dice invece che Dio ascolta sempre le nostre preghiere. Il vero punto è un altro: «Il figlio dell’uomo quando tornerà troverà la fede sulla terra?». Il problema di cui ci dobbiamo davvero preoccupare è di credere, fidarci, poggiare veramente la vita su Cristo.
Don Davide