COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 19 NOVEMBRE 2023

La parabola che ascoltiamo questa domenica è tratta dal capitolo che precede il racconto della passione. Il brano parla proprio di un signore che sta per partire per un viaggio da cui tornerà dopo molto tempo. Anche Gesù con la sua passione e morte sta per compiere un lungo viaggio, da cui un giorno farà ritorno. In mezzo sta il tempo dell’attesa, quello che stiamo vivendo noi. È vero infatti che lui ci ha promesso di essere con noi tutti i giorni. Ma non è estranea al Nuovo Testamento l’idea di una distanza che ancora c’è tra noi e lui, una condizione di esilio che viviamo lontano da lui in questa terra.
La parabola mette l’accento proprio su questo tempo di mezzo che intercorre tra la partenza del padrone e il suo ritorno. Quest’ultimo prima di partire distribuisce le sue immense ricchezze ai servi, dando a ciascuno uno o più talenti. Si tratta di una ricchezza che deve essere trafficata e fatta fruttare.
Gesù insegna che ci verrà chiesto conto di come abbiamo usato i talenti che Dio ci ha dato. Ma sarebbe fuorviante pensare che questi talenti siano semplicemente le doti che abbiamo, le qualità che ci rendono naturalmente bravi in qualcosa. Cristo non vuole da noi qualcosa, non vuole “risultati”, vuole il nostro cuore. L’enorme ricchezza che deve portare frutto è la nostra stessa vita, così come è, magari piccola e includente ai nostri occhi ma, a guardare più in profondità, anche piena di bene, ricca dei nostri tentativi e della nostra lotta per affermare un senso per noi e per il mondo. Seguire Cristo ogni giorno e offrirgli la nostra vita così come è perché il suo regno si realizzi: questo è il vero frutto che lui si attende da noi. Chi invece vive solo per se stesso, per la propria tranquillità o il proprio tornaconto non porta frutto e spreca la sua vita.
Don Davide

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 12 NOVEMBRE 2023

Sarebbe interessante interrogarci su quali siano le verità di fede che noi cristiani stiamo mettendo da parte. Una è certamente la venuta di Cristo alla fine dei tempi, quella che chiamiamo parusia. È una verità ampiamente richiamata dalla Scrittura e dalla liturgia, eppure sembra non avere alcuna centralità nella predicazione, nella catechesi, nei dialoghi tra di noi. Ciò contribuisce a farci vivere una fede ripiegata sulle urgenze del presente, senza più il senso della salvezza della storia, senza l’attesa di un compimento futuro, senza che abbiamo il cuore teso alla venuta definitiva di Cristo. Il tema non è facile da trattare, ma metterlo da parte significa mutilare la nostra fede.
Il vangelo di questa domenica ci mette in guardia su questo. La parabola fa riferimento ai costumi del tempo, secondo cui era previsto che lo sposo si recasse la notte a casa della sposa, sposa che era affiancata da damigelle con il compito di illuminare la strada allo sposo che arrivava. Gesù ci chiede di avere un cuore pieno di attesa. Questo è il significato delle lampade e dell’olio per tenerle accese. Vivere l’attesa del Signore cambia l’orizzonte delle nostre giornate e immette nel presente una drammaticità e una speranza che permettono di non disperarsi di fronte a una realtà che va molto diversamente da come dovrebbe andare. Il Signore verrà, e verrà per salvare. Il fatto che nella parabola Cristo venga presentato come lo sposo indica questa volontà di comunione e di redenzione che riguarda tutto e tutti. La nostra storia individuale e quella dell’umanità intera vanno verso quel momento.
Don Davide